L’idealizzazione rinascimentale della cortesia può essere letta come l’espressione di un potente desiderio umano, cioè che i conflitti, eventuali e in corso, si risolvano nell’armonia arrivando a un equilibrio di pace. La cortesia, pertanto, si fa possesso e impiego di buone maniere unito alla considerazione per gli altri: un’attività di profonda attenzione per i desideri ed i sentimenti altrui. La cortesia nasce da amore e moralità, quindi internamente all’individuo ed è come se non ci fosse altro luogo più sicuro e sincero se non la propria intimità.
Nei principi d’impiego della cortesia va fornito qualcosa che serva a soddisfare chi ascolta promuovendo il benessere altrui, cioè tenendo in considerazione, contemporaneamente ai propri, i sentimenti degli altri. Sappiamo che sono tre le principali regole da ricordare:
1) non importi (cioè non sei l’unico ed il più forte),
2) offri delle alternative (non costringere gli altri a piegarsi),
3) fai sentire il tuo interlocutore a proprio agio (offri spazio per l’altrui comodità anche d’espressione).
Cortesia è benevolenza verso gli altri, cioè non bisogna vincere su qualcuno o qualcosa, bensì serve trovare una soluzione possibile per entrambi fondata sulla reciproca simpatia: una sorta di sentire insieme e comune. Dovremo, per così dire, impegnarci ed usarci per capire. Cortesia è comprendere: “Io penso a te che pensi a me che penso a te”. Ogni individuo è cortese quando sa evitare i conflitti interpersonali, quindi la cortesia è una competenza che si acquisisce attraverso la relazione. La cortesia non serve a qualcosa, bensì a qualcuno che si trova tra amore e moralità (buone maniere e sentimenti) e, volendosi prendere cura dell’altro, si colloca alla confluenza tra interiorità ed esteriorità. Quando mente e corpo sono in collegamento si dice che “dialogano”, cioè si prestano attenzione prestandosi vicendevolmente e questo da il via alla cortesia.
Con la CORTESIA
Gli autori
Bartolacelli Erio
Psicologo, psicoterapeuta, psicoanalista