La stanza dei rifiuti e altre opere

In questo libro, vogliamo proporre una scrittrice brasiliana, Carolina Maria de Jesus (1914-1977), poco conosciuta dai lettori italiani, ma che merita, pensiamo, una maggiore attenzione e divulgazione. La scrittrice è stata infatti protagonista della Letteratura Marginale brasiliana, una delle prime voci “da dentro la favela”.  Le sue opere parlano di fame, di violenza, di pregiudizi di razza e di genere, ma anche di passione per lo scrivere e per la letteratura.
 Carolina nasce a Sacramento, una cittadina dello Stato di Minas Gerais, da una famiglia estremamente povera, discendente da schiavi venuti dall’Angola. Da bambina, con soli due anni di scuola, impara a leggere e a scrivere e da quel giorno diventa una lettrice appassionata e una scrittrice sorprendente: scriverà diari, romanzi, racconti, pièce teatrali, un tesoro letterario sfortunatamente ancora, nella maggior parte, inedito.
Vive per lunghi anni nella favela di Canindé, nella periferia di São Paulo. Nera, nubile e madre di tre figli, Carolina sarà sempre una “diversa”, un’esiliata. Sia dal punto di vista letterario, non essendo classificabile in nessun canone, sia sociale, per la sua aspra critica alle istituzioni e alla classe politica brasiliana. 
Il successo, fulmineo ed effimero, le arriva nel 1960, quando, a São Paulo, pubblica il suo primo diario “La stanza dei rifiuti”, che apre appunto il nostro libro. Il diario è seguito dal racconto, “Dove sei, Felicità?” e dalla cronaca “Favela”. 
“La stanza dei rifiuti” parla di una discesa all’inferno, dove la fame è la prima incontestata protagonista e la violenza domestica su donne e bambini la seconda.
Un inferno che sembra addolcirsi nel più lirico e romantico “Dove sei, Felicità?”, ma che si riafferma nella durissima cronaca “Favela”, impressionante racconto del sorgere dei primi agglomerati periferici di  São Paulo e delle drammatiche maternità della scrittrice.

 

Carolina si trova in quella posizione di forza di cui parla Marx, quando dice che i proletari non hanno niente da perdere, se non le loro manette. (…) Le parole di Carolina hanno una profondità shakespearianaAlberto Moravia

Carolina è stata perseguita per il suo uso della lingua da una élite che dominava le regole culturali della lingua parlata e scritta, volendo imporre criteri dominatori. Regole che avevano l'obiettivo di stabilire l'egemonia di una casta, di un piccolo e selezionato gruppo chiuso nella sua torre d'avorio letteraria e che dominava sulla cultura e la politica del Brasile. Come succede, del resto, da molti secoli”. Tom Farias

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