Il cibo come droga

Gli autori
Daniele Maria Teresa

Daniele Maria Teresa

Psichiatra, psicoterapeuta psicoanalitico

Manna Vincenzo

Manna Vincenzo

Neurologo, psichiatra, psicoterapeuta

Pinto Mario

Pinto Mario

Psichiatra, psicoterapeuta

I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) hanno visto riconosciuta una propria autonomia nosografica in ambito psicopatologico nel DSM-5. I dati epidemiologici evidenziano una loro rapida crescita nelle società sviluppate. I numerosi studi sull’Anoressia Nervosa (AN), sulla Bulimia Nervosa (BN), sul Binge Eating Disorder (BED) e sugli altri DCA, hanno prodotto molti dati, ma poche certezze sull’etio-patogenesi di questi disturbi, con ricadute negative sul loro trattamento e sulla loro prevenzione. L’instabilità diagnostica dei DCA, fenomeno per il quale i pazienti con AN, BN o altri DCA tendono a migrare, nel decorso della loro malattia, da una categoria diagnostica all’altra, rappresenta un’area clinica problematica, per cui gli autori propongono una diagnosi trans-nosografica dei DCA.
Numerosi dati sperimentali suggeriscono un meccanismo patogenetico legato alla disfunzione dei sistemi regolatori del piacere e della ricompensa (reward), un disturbo della funzione edonica, una disedonia, un’alterazione dei processi di gratificazione, che favorirebbe l’instaurarsi di una sorta di dipendenza e assuefazione, nell’AN al digiuno autoimposto e nella BN alle abbuffate alimentari. In tale prospettiva, sembra avvalorata l’ipotesi etio-patogenetica della “dipendenza da cibo” nel frame-work stress-vulnerabilità. L’esposizione ripetuta al cibo ipercalorico (fast food e/o cibo spazzatura) può essere considerato un evento ambientale stressante con effetti comportamentali, capace d’indurre dipendenza, in proporzione alla diversa vulnerabilità individuale. La maggiore o minore vulnerabilità individuale può derivare da condizioni epigenetiche, da fattori interferenti sulla neuro plasticità in età evolutiva, ma può dipendere anche dalla prolungata esposizione a fattori stressanti.
Le persone affette da DCA sono persone difficili da trattare sul piano psicoterapeutico, che stabiliscono una relazione simbiotica patologica ed esclusiva con una forte dipendenza, secondo Mahler (1958). Esiste una simbiosi primitiva e una simbiosi patologica o meglio, come dice Badaracco, patogena. Le persone con carenze dell’Io reagiscono con e attraverso il corpo. È necessario destorificare per riconcettualizzare la patologia mentale, per superare schemi congelati e coazioni a ripetere che hanno inserito i disturbi del comportamento alimentare in una nicchia. Aprire quindi spazi di mediazione, superando lo spazio del contratto per aprirsi a quello dell’incontro. È stato dimostrato scientificamente che la psicoterapia può modificare, in senso curativo, la struttura e la funzione delle reti neurali disfunzionali sottese ai disturbi del comportamento. La psicoterapia è in grado di indurre neuro plasticità terapeutica.
La sfida nuova è quella di una nuova cultura organizzativa dei servizi di salute mentale che possa mettere al centro i pazienti, le loro scelte, il sostegno all’empowerment e allo sviluppo dei processi di recovery del soggetto affetto da DCA.

>