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- Non c'è più vergogna nella cultura
Cos’è diventata la vergogna oggi? Qual è la sua rilevanza nei comportamenti collettivi, ma anche nella letteratura, nell’arte, nella filosofia contemporanea? E dal punto di vista psicoanalitico, qual è il suo statuto concettuale e la sua rilevanza clinica in uno scenario sempre più incline a considerarla un fenomeno di fatto desueto, superfluo, inutile, di cui paradossalmente vergognarsi?
La vergogna, è intuivo ammetterlo, indica innanzi tutto l’esposizione allo sguardo riprovevole dell’altro, ed è dunque un regolatore degli scambi sociali. La vergogna ha, infatti, avuto da sempre la funzione di preservare il soggetto dall’esposizione a comportamenti troppo conflittuali con l’ambiente e con se stessi, ponendosi in stretta relazione con la colpa. La sua funzione sarebbe, al limite, quella di proteggere il soggetto da un eccesso di godimento che sconfinerebbe infine nella prevalenza della pulsione di morte.
In questo volume si è allora cercato, attraverso molteplici strategie di indagine – la teoria psicoanalitica, l’esempio clinico, la strategia artistica, la produzione letteraria, la riflessione filosofica – di delineare l’eredità, la trasformazione e le sorti possibili della vergogna. Un dialogo a più voci, anche dissonanti tra loro, o a volte incommensurabili, ma sempre mosso dal desiderio di capire e di trasmettere un sapere, o una conoscenza. Un sapere intorno ad un fenomeno che, al di là di facili suggestioni, non può in ogni caso essere del tutto abolito dall’esperienza soggettiva, pena la cancellazione della qualità umana di quella stessa esperienza. La vergogna ci mantiene umani, diceva Jean Paul Sartre: e questa adesione così stretta della vergogna al soggetto, forse non sarà mai possibile abolire.