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- Lacan nella cripta dei cappuccini
Il reale non è qualcosa che manca, che fa difetto. È piuttosto qualcosa che si trova sempre allo stesso
posto, sia che ci si trovi nei suoi dintorni, sia altrove. È dunque la morte? È il Cristo morto di Holbein?
Sono i teschi della Cripta dei Cappuccini in fondo a Via Veneto, nel Cimitero della Chiesa di Santa Maria della Concezione a Roma? È ciò che appare negli ultimi istanti della Dolce Vita quando i viveurs procedono in fila come ombre, per arrivare infine sulla spiaggia, dove l’occhio di Fellini mostra l’occhio inerte di una carcassa marina? È questo il reale, qualcosa che basta percorrere Via Veneto dalla Cripta dei Cappuccini fino all’Harry’s Bar per incontrarlo? Ugo Amati, immaginando un viaggio agli inferi, guidato dal suo “Virgilio” Jacques Lacan, si pone queste e altre domande rievocando la Dolce Vita e interrogandosi sulla Dolce Morte. Dentro alla propria analisi, terminabile e interminabile. Gianfranco Angelucci, si inserisce a tempo debito in questo viaggio, facendo apparire altre figure e altri significanti. Katabasi ma anche Anabasi.