• Salute Mentale, Migrazione e Pluralismo Culturale
    Antropologia

    Salute Mentale, Migrazione e Pluralismo Culturale

    19,00 €

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Salute Mentale, Migrazione e Pluralismo Culturale

Gli autori
Bria Pietro

Bria Pietro

Psichiatra

Caroppo Emanuele

Caroppo Emanuele

Psichiatria, Psicoanalista

La globalizzazione, la richiesta di lavoro, la speranza di una vita migliore da parte degli stranieri e la domanda di lavoratori da parte italiana hanno fatto sì che, soprattutto nel corso dell’ultimo trentennio, l’Italia si sia trasformata in una delle mete europee di maggiore immigrazione. Un nuovo scenario che ci vede condividere una dimensione plurale, mista: persone di culture, lingue e religioni diverse arrivano costantemente, alla quale se ne affiancano molte altre, le prime, le seconde e spesso le terze generazioni di immigrati, che vivono nel nostro Paese già da vari anni. Insomma, senza troppo accorgercene, ci siamo rapidamente trovati a vivere in una società multietinica e multiculturale. Un fenomeno importante, quindi, nel quale entrano in gioco numerosi fattori: sociali, politici, psicologici, sanitari, istituzionali ed economici. In questo quadro complesso, sono convinta, anche il tema della salute assume rilevanza e, in particolare, tutte quelle problematiche legate alla salute mentale delle persone immigrate, delle quali nel nostro Paese si è cominciato a discutere purtroppo con un certo ritardo. Anche per questo motivo questo libro “Salute mentale nella migrazione e pluralismo culturale”, che presenta una riflessione organica sull’argomento, rappresenta un importante strumento di analisi sia per gli operatori del settore, per i medici, gli psicologi e sociologi, che quotidianamente sperimentano nella pratica il rapporto con il paziente immigrato, sia per quanti istituzioni, enti locali, associazioni di volontariato si occupano dei problemi legati al mondo dell’immigrazione. Non possiamo considerare il fenomeno migratorio come un’emergenza continua, ma dobbiamo guardarlo come un fenomeno strutturale del nostro tempo. Anche la nostra stessa società, che a volte fa ancora fatica ad accettare la nuova realtà, rischia in questo modo di generare forme di intolleranza nei confronti degli stranieri: discriminazione, pregiudizio e violenza sono segnali di scollamento tra le differenti realtà e di conflitto sociale, soprattutto nelle fasce più deboli e a rischio della popolazione. Conflitti che portano l’immigrato a percepire di non essere ben accettato dalla società ospitante, disagio che spesso si accompagna ad una precarietà economica e ad una forte incertezza riguardo alle prospettive future. Segnali che richiedono una riflessione approfondita ed, in primo luogo, una riflessione sulle forme e il significato del disagio psicologico che gli immigrati possono trovarsi a vivere. Perché ci si ammala e come ci si ammala? Per capire questo dobbiamo rispondere alla domanda pregiudiziale: perché si emigra? Tutto può generare, se non disturbi mentali significativi, vissuti di inquietudini, insoddisfazioni, incertezze? È certamente possibile che la condivisione di uno stile di vita, di una cultura e di tradizioni diverse possa portare i migranti che raggiungono il nostro territorio a vivere, in certi casi, un’esperienza drammatica, un conflitto d’identità che a volte è molto difficile superare. Se è vero, infatti, che la salute delle persone è il risultato di una serie di fattori di vario tipo, genetici, personali, culturali, sociali e ambientali, come ad esempio la disoccupazione, l’uso ed l’abuso di sostanze stupefacenti e di alcool, l’indigenza, le variazioni climatiche e che questi fattori sono propri della maggioranza dei soggetti più deboli, sia italiani che immigrati, è vero anche che per questi ultimi esistono delle situazioni aggravanti: la difficoltà di superare le barriere culturali e linguistiche, lo sradicamento fisico e culturale dal proprio paese di origine, la lontananza dalla propria struttura familiare e amicale, la possibilità di essere esposti a situazioni estremamente a rischio come la prostituzione, la detenzione, la dipendenza. Un nuovo contesto di vita che, soprattutto per quanto riguarda l’universo femminile, rappresenta una sorta di rivoluzione dell’identità, dei ruoli, dei codici, delle scelte di vita. Una situazione che, se possibile, è ancora più difficile se viene vissuta da quanti si trovano nel nostro Paese in condizione di clandestinità. A fronte di questo disagio, molti sono ancora gli ostacoli che condizionano l’accesso ai servizi sanitari, dalle barriere comunicative alla consapevolezza del diritto di accesso al servizio sanitario nazionale, dai pregiudizi e paure ai problemi economici. Un esempio di questa difficoltà è che i migranti non sempre si rivolgono in prima persona ai servizi pubblici e sempre più di frequente il contatto con queste strutture viene proposto dai medici, dagli operatori del settore e dalle organizzazioni di volontariato. Sono cosciente che le possibilità di intervento non siano né semplici né lineari, ma credo anche che, se poniamo alla base di tutte le nostre politiche l’ascolto, la comprensione e la costruzione di un rapporto di fiducia, molte situazioni di disagio, anche in questo campo, possono essere contenute. L’identità, infatti, come sottolinea lo storico franco-libanese Amin Malouf “non è data una volta per tutte, si costruisce si trasforma durante tutta l’esistenza” . Prendere coscienza di questa evidenza e avviare percorsi che aiutino a comprendere come ciascuno di noi, italiano o straniero, nella quotidianità e nell’incontro modifichi la sua identità e arricchisca il suo essere è una delle sfide che abbiamo davanti. Ed è una sfida in primo luogo culturale, che rimanda al secondo nodo: quello dell’accoglienza e della convivenza. È estremamente significativo che, sul terreno della concretezza, in questo libro le criticità siano evidenziate non solo con chiarezza e rigore ma anche con una sostanziale condivisione delle possibili soluzioni e che iniziative, diverse e molteplici, siano nate in tutta Italia per favorire il processo di integrazione, di attenzione e di cura: persone, istituzioni e associazioni impegnate in maniera seria e professionale a governare una situazione difficile, che raccontano però di una sanità più matura, consapevole, che non si nasconde i nodi né le difficoltà ma che si mette in gioco alla ricerca di soluzioni. Pur essendo di fronte ad un processo lungo e irto di ostacoli, credo si possa ottenere un buon risultato grazie a un’azione sinergica. Un processo dove ognuno, nel rispetto delle proprie competenze e delle responsabilità, metta a frutto quanto di positivo già fatto. Uscire dalla logica dell’emergenza è la sfida più grande che l’immigrazione oggi ci pone, sostenendo con forza che queste persone hanno una dignità, una storia che non sempre conosciamo, ma che spesso è frutto di fatiche, di tragedie, di problemi e che per tanti motivi sono più a rischio di altre. Ma, soprattutto, dobbiamo imparare a pensarle come una risorsa: questa è la più grande responsabilità di un Paese che vuole sentirsi dire di essere un paese civile, democratico e capace di far fronte alle sfide di una società complessa come la nostra. Cristina De Luca Sottosegretario alla Solidarietà Sociale.

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