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Arte e fotolinguaggio come metodo di mediazione nel dispositivo psicoanalitico
Freud ha sempre auspicato la fusione tra psicoanalisi e neurofisiologia per una psicoterapia che potesse ricompattare la scissione mente/corpo attuata da Cartesio in poi, rammentandoci che: “L’Io è innanzitutto un’entità corporea” (Freud, 1923).
La prima parte del corrente lavoro sulla scorta delle neuroscienze affettive, della teoria dell’attaccamento e delle moderne teorizzazioni sui traumi di matrice relazionale, getta il focus dell’attenzione sul funzionamento borderline alla luce di una teoria che integra tre orizzonti epistemologici: neurobiologico, intrapsichico e interpsichico postfreudiano. Il fil rouge del lavoro sarà il trauma relazionale abbandonico, l’importanza dell’ambiente interpsichico d’influenzamento reciproco tra l’oggetto-sé e il Sé per la genesi della psicopatologia borderline nell’ottica del Processo Psicoanalitico Mutativo (PPM), sottolineando come la “patologia del legame”, saturante il setting analitico nel borderline, vada intesa altresì come patologia del legame del pensiero e del preconscio nel creare legami tra “rappresentazioni di cose” (percetti, pulsioni, immagini) e “rappresentazione di parole” (concetti, idee, sentimenti) o tra inconscio non verbale e conscio verbale, tra sistema limbico pulsionale (processo primario analogico) e neocorteccia (processo secondario logico). La seconda parte del lavoro verterà sul metodo PPM della Scuola dell’Accademia di Psicoterapia Psicoanalitica (SAPP) di Roma interrelato al trauma relazionale che si declinerà nella sua applicazione pragmatica al caso clinico.
Il funzionamento borderline è il portato evolutivo di traumi cumulativi complessi (Khan), di una violenza primordiale originaria (Bergeret). L’ultima parte del lavoro evidenzierà quindi l’integrazione possibile della tecnica del PPM, all’interno del dispositivo analitico, con un metodo di mediazione psicodinamico quale l’arte, l’immagine o fotolinguaggio trait d’union tra intrapsichico e interpsichico nel setting per la cura del DPB come possibile “estensione della psicoanalisi” (Kaes, 2016).